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Notiziario N.27 - Luglio 2004
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in tutto questo, emerge. Ma a chi giova “spingere” con tanta veemenza e, in questo subdolo modo?
Dobbiamo risalire a qualche anno indietro. Nel 1993 si è avviato il cammino, che oggi ci vede uniti nell’Europa monetaria ed economica. Le leggi nazionali dei singoli paesi, via, via diventano meno cogenti, efficaci, perché superate o soppiantate da normative comunitarie. Certo, oggi vediamo che non tutto procede secondo gli itinerari e le tappe che i padri di questa epocale trasformazione si sono dati. Vi sono rallentamenti, aggiustamenti, ripensamenti, ma il tutto ormai è in marcia e sicuramente, se non ci saranno grandi imprevisti, si cambierà completamente la vita politica, sociale, economica dei singoli paesi aderenti all’Europa unita. Questa ineluttabile marcia, non è passata sotto silenzio ai nostri grandi magnati dell’economia. Consci, che gran parte della loro fortuna era dovuta ad un certo tipo di connessione esistente, fra i loro interessi e quelli dei politici italiani, che secondo le parti, il tempo, i movimenti economici nazionali e internazionali, hanno appoggiato, sostenuto, sovvenzionato, la grande impresa e finanza italiana. Tutti questi aiuti, non hanno permesso nel tempo, che si sviluppasse nel paese una vera economia solida e forte, frutto di selezione competitiva. D’altra parte, chi si sarebbe sforzato più di tanto, sapendo che la propria impresa, sarebbe stata comunque aiutata o salvata, nei momenti peggiori, dallo stato (forze politiche). Si viveva, finanza, politica e vaticano, a braccetto. Tarallucci e vino. Chissà quanti governi sono stati fatti e quante imprese sono state salvate, attorno ad un tavolo imbandito, i cui commensali erano i grandi “gurù” della politica, dell’economia e del potere religioso. Il tutto condito, da un’aria paesana che permetteva al “sacrestano”, al “prete”, al “latifondista” e al “sindaco”, di giocare la propria consueta “partita a tresette”, sul tavolo ben conosciuto, del bar del paese, con sopra gli occhi distratti di un amico comune, che fungeva da arbitro “imparziale”.      La posta in gioco era la 

distribuzione dell’economia italiana, in un coacervo d’interessi intrecciati, che vedevano e vedono, banche con cointeressenze azionarie in imprese alle quali prestano i soldi, membri di consigli d’amministrazione, che occupano quel posto anche in imprese concorrenziali e in seggi parlamentari. Un enorme, equilibrato intreccio di potere, che per il proprio mantenimento, deve impedire ogni reale cambiamento della politica, dell’economia e delle leggi italiane. L’Europa ha spostato sia i giocatori, che il tavolo, in ambiti non più “caserecci”, gettandoli nell’agone internazionale. Le “carte del gioco”, non le dà più un amico compiacente, ne si può più contare su di un arbitro addomesticato. Le imprese, i mercati, i popoli che si sono uniti sotto la comune bandiera Europea, non possono permettersi che un membro, neppure tanto importante, come l’Italia (sotto il profilo dell’economia), rallenti il cammino di tutta la comunità, per suoi problemi di equilibri interni. Gli interessi globali, prima o poi, costringeranno il nostro bel paese, ad applicare l’economia di mercato e la selezione vera delle imprese. Qualche cosa sostanzialmente è cambiato. Come già si può vedere con le difficoltà che incontra il salvataggio della compagnia di bandiera Alitalia, dove parti politiche interessate al mantenimento dell’attuale situazione, spingono il governo, magari mettendogli in bocca delle decisioni prossime che non sono nemmeno state paventate, ad intervenire con aiuti statali illegittimi che la comunità europea boccerebbe senza pietà. Di questa “rivoluzione” ineluttabile, i “padroni del vapore” e le parti politiche, finanziare, sono ben consapevoli fin dall’inizio. I loro “imperi” cominciano a scricchiolare. Bisogna disinvestire i capitali dalle aree non più protette, dal tipo di politica nostrana e cercare di conquistare nuove filiere (interi settori), dove avere il monopolio che garantisce e protegge, dalla novella concorrenza regolata dalle commissioni europee. In Italia, non c’è molto da conquistare. La chimica, un tempo bandiera del paese, se n’è andata per altri lidi,

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